0 15 ottobre 2001
Provo a raccontare perché oggi, a differenza di molti, non sarò alla marcia per la pace Perugia—Assisi. § Una premessa doverosa: non ho nulla contro i frati francescani che la promuovono, rispetto la scelta dei partecipanti (anche quando le loro motivazioni noi coincidono con le mie), auspico che le iniziative di preghiera e di mobilitazione per la pace in questi tristi e violenti giorni di guerra si moltiplichino all’infinito. § Non posso tuttavia nascondere, a me stesso prima che a coloro che hanno la pazienza di leggere queste note, il mio disagio nei confronti di un pacifismo, come quello che presumibilmente numeroso si ritroverà in terra umbra, che ospita tra le sue file non solo ammirabili idealisti ma anche, e temiamo siano maggioritari, consumati politici e politicanti attratti da una vetrina troppo ghiotta per essere disertata. Nei confronti di una reazione come quella statunitense, in bilico tra intervento legittimo contro il terrorismo e guerra di vendetta, è naturale provare il sentimento della paura e dell’angoscia sia tra coloro che hanno vissuto gli anni terribili della seconda guerra mondiale sia tra coloro che non l’hanno vissuta ma potrebbero trovarsi a convivere con un terzo conflitto su scala planetaria. Eppure ho come la percezione che la domanda di pace sia troppo spesso un paravento dietro al quale si nascondono strumentalizzazioni a senso unico. Nella marcia di oggi rischia di avere il sopravvento la filosofia di chi è contro il terrorismo ma al contempo dichiara di essere anti-americano. Nessuno nega le responsabilità e le omissioni del governo statunitense che non è riuscito (o non ha voluto) disinnescare la bomba mediorientale e tanto meno si è fatto artefice di un ripensamento dello sviluppo mondiale, fondato su forti squilibri e palesi ingiustizie. Ma equipararlo, sul piano della responsabilità oggettiva, al fondamentalismo estremista che ha mosso la missione suicida contro le Torri Gemelle, equivale ad accreditare un falso storico che può convincere solo le personalità più ingenue. La pace, la guerra, così come ogni aspetto della vita, richiedono un giudizio fondato su tutti i fattori in gioco e sulla memoria storica: non si può manifestare contro le multinazionali a stelle e strisce e dimenticare, per esempio, gli stermini avvenuti in Sudan o le migliaia di vittime della guerra Iran—Irak. Un pacifismo che non voglia essere unilaterale e poco coerente non può fare distinzioni tra morti di serie e di serie B, tra bambini affamati dalla globalizzazione e bambini affamati da una ricchezza concentrata nelle mani di pochi emiri e sceicchi intenti a scorazzare su lussuose limousine mentre il loro popolo cade vittima della denutrizione. § Ma c’è un altro aspetto che non mi entusiasma: se non mi corrisponde lo spirito giustizialista di certi ambienti collocati a destra altrettanto non condivido il pacifismo, provinciale e un po’ bigotto, di gran parte della sinistra italiana costretta a strumentalizzare l’odierna marcia per mostrare a tutti, diversamente da quanto accaduto in Parlamento, di essere una coalizione unita e non vittima cronica dei ricatti verdi e rossi che la indeboliscono sul piano del pensiero e dell’azione politica. § Un’ultima riflessione: mai come oggi il male è rientrato nelle cronache dei mass media. Per il presidente Bush il male abita a Kabul, per molti pacifisti, anche nostrani, la sue residenza è esclusivamente nella Casa bianca. Noi sappiamo invece che il male è nel cuore dell’uomo, a prescindere dalla razza, dalla religione, dall’età e dal conto in banca. Mi piacerebbe che chi oggi sfilerà fino ad Assisi se lo ricordasse e lo facesse ricordare. § Per questo disagio che ho cercato di descrivere oggi non sarò ad Assisi. § Ma soprattutto per una certezza: che nel nuovo mondo che ci aspetta dopo l’11 settembre le vecchie carabattole che ci hanno fin qui accompagnato non serviranno: analisi, ideologie, categorie sono infatti diventate carta straccia alla luce dei lampi che solcano i nostri cieli. Servono invece un nuovo linguaggio e un nuovo pensiero plasmati da una straordinaria pietà per l’uomo e la sua debolezza. § Cosa farò allora, sempre che a qualcuno interessi? Reciterò l’Angelus in famiglia per tutte le vittime, per tutti i governanti, per gli stessi partecipanti alla marcia pacifista certo che la mia preghiera, come quella di tanti in questi giorni, arriverà a destinazione senza pericolo di strumentalizzazioni . Se i miei figli mi chiederanno chi è un pacifista risponderò loro che il mio pacifista ideale è un uomo vestito di bianco, vecchio, sofferente ma con una fede indomabile che in tutte le parti del mondo, anche le più scomode, ha rilanciato un’idea di pace integrale, fondata sulla giustizia ma anche sulla libertà e la dignità della persona. La stessa idea richiamata dalle parole commoventi scritte da don Divo Barsotti per Avvenire: «La pace tra le nazioni sembra esigere prima di tutto la pace interiore dell’uomo. È questa pace interiore la condizione perché la pace si estenda dall’uomo agli uomini, dall’uomo a Dio. La prima cosa che noi possiamo chiedere alla preghiera è questo abbandono alla volontà di Dio, il quale non può che volere il bene. La preghiera, se veramente raggiunge il cuore di Dio tende per sé necessariamente a superare la divisione degli uomini; Dio è al di là di ogni divisione». Per il mondo nuovo, da tutti descritto come lugubre e impaurito, quello di Barsotti è un bel viatico.