1 12 maggio 2011

Dono ergo sum

Donatori entusiasti e devoti? E’ il sogno di ogni organizzazione del terzo settore nel quotidiano e faticoso sport della ricerca di risorse per una buona causa. Ma la  realtà è ben diversa. Carte di credito, bollettini postali, sms o mail rendono l’esperienza della donazione un po’ arida. Conferma tutto Francesco Ambrogetti, esperto di caratura internazionale ospite del  Festival di fundraising che si conclude oggi a Castrocaro. “Mettiamoci per un attimo nei panni di chi sottoscrive un contributo” è la sua sfida. “E’ come se attraverso il suo aiuto pensasse in qualche modo di cambiar e il mondo. Cosa riceve in cambio? Poco o nulla”. E così i donatori restano delusi anche perché spesso non sanno neanche se i soldi versati sono giunti a buon fine. In molti non danno seguito alla prima donazione perché non sono coinvolti. Né basta una newsletter, spedita con tempi biblici, per farli sentire protagonisti. La ricetta di Ambrogetti è semplice. “Non aver mai paura di comunicare: cosa sta cambiando con i soldi versati e quante vite, grazie a quelli, sono migliorate, valorizzando sempre anche la piccola offerta”, L’evangelico obolo della vedova, insomma, funziona anche nel mondo del fundraising. Da questo punto di vista, l’Italia è indietro rispetto ad altri paesi dove il donatore non è semplicemente una mucca da mungere. E invece basterebbe poco: una telefonata di cortesia che dice grazie di aver donato, un pensiero speciale nel compleanno del donatore o nel compleanno della sua donazione e soprattutto spiegare in tempo reale, ad esempio, quanti bambini sono stati vaccinati grazie all’offerta. Una vicenda non solo economica ma anche psicologica, spiega l’esperto. “Si dona, in genere, per un’emozione provocata da dolore, paura, felicità. Svanita l’emozione l’unica possibilità è quella di trasmettere storie che la rinfocolino. Storie di sopravvissuti, ma anche di persone che si sono  riscattate grazie alla cultura e all’educazione”. Un altro tallone d’Achille del sistema è rappresentato da una certa sfiducia nei confronti della buona destinazione. “Consiglio a tutte le organizzazioni coraggio e trasparenza. Perché non inserire la clausola soddisfatti e rimborsati? Di fronte a questa apertura sarebbero in realtà pochissimi quelli che chiederebbero la restituzione dei soldi”. A sorpresa i dati confermano che i giovani non sono impermeabili alle richieste di aiuto e di coinvolgimento. Ma deve essere un proposta importante: non solo denaro ma soprattutto opere di bene. Resta un’ultima curiosità: come si diventa cercatori di fondi. “Il mestiere di chiedere soldi” conclude Ambrogetti “non è mai piacevole. Ma imparare come si fa è un’esperienza davvero straordinaria. Che spesso diventa metodo”.