0 1 marzo 2002
Ora che tutte le parole di esecrazione e di condanna sono state spese, mentre i magistrati continuano la loro inchiesta e si sta, forse, allentando la morsa opprimente del circo mediatico attorno alla famiglia, vorremmo proporre alcune riflessioni rilanciando l'auspicio, espresso dal Cardinale nella sua omelia funebre, che il sacrificio dell'economista non sia stato inutile e che le sue idee, frutto di una ricerca moderna e motivata, possano continuare a camminare.
Per prima cosa, abbiamo imparato, come mai prima ci era accaduto, a diffidare della politica: nelle ultime settimane, infatti, governanti e oppositori hanno dato vita a uno spettacolo che, solo con un eufemismo ipocrita, potremmo definire poco edificante. Non è il nostro, si badi bene, qualunquismo. è piuttosto la confessione di un disagio che come cittadini non possiamo più nascondere: abbiamo visto forze politiche e sindacali, quasi fondamentaliste nella critica alle soluzioni proposte dal professore per cambiare il nostro sistema del lavoro, che dopo l'omicidio sono salite sul carro della sua memoria; abbiamo visto altre forze politiche, colpevoli di aver lasciato solo il professore nella battaglia che combatteva in buona sostanza per loro, strumentalizzare a reti unificate la sua figura. Le cose non sono andate meglio nella nostra città: la bagarre in consiglio comunale perché in sede di commemorazione non è stata data la parola alle forze politiche ma solo al sindaco ha avuto un profilo da basso impero. Sono segnali preoccupanti di un politica orrida, totalmente incapace di riconoscere i propri ricorrenti e calamitosi errori (i mea culpa, si sa, si chiedono molto più volentieri alla Chiesa cattolica).
In secondo luogo, registriamo una brutta aria nel rapporto tra le parti sociali. Intendiamoci: noi pensiamo che il governo abbia il diritto di proporre la sue riforme (anche se quella sull'art.18 sembra solo una questione di principio agitata per placare i malumori di certi grandi elettori); riteniamo altresì che sia legittimo scendere in piazza per contrastare le riforme proposte dal governo: crediamo infine che se il governo difende le sue scelte non per questo è fascista e che se il sindacato fa il suo mestiere non è ipso facto contiguo al terrorismo (se mai c'è da chiedersi perché durante il governo del centroçsinistra sembra essere andato in cassaçintegrazione). Quello che ci preoccupa dello scontro in atto è altro: l'abbandono della moderazione e della ricerca della moderazione come saggio strumento di lotta politica. I politici della tanto vituperata prima repubblica, la generazione degli Andreotti e dei Moro, dei Craxi e dei Berlinguer, non avrebbe mai consentito a trasformare uno scontro pur aspro come quello che ha portato allo sciopero generale in un barbaro combattimento di galli come l'attuale dove invece del compromesso le parti in gioco sembrano lanciarsi l'un contro l'altro pentole di olio bollente. L'esempio di Marco Biagi è antitetico all'attuale clima: la conferma che è possibile portare avanti le proprie idee senza per questo rinunciare al confronto.
La testimonianza dell'economista, infine, ci ha fatto intuire meglio come cattolici la ricaduta sociale dell'invito del Papa: prendere il largo significa abbandonare le nostre piccole conventicole e le nostre tende su misura; lavorare in frontiera e senza deleghe per la costruzione di un clima di pace e di solidarietà; valorizzare persone come Biagi, vicine anche se non incasellabili, rinunciando ad erigere, noi per primi, steccati ideologici. è di una rifondazione dal basso che ha bisogno la presenza sociale dei cattolici. Ma anche di figure simbolo: a differenza di certi ideologi oltranzisti che di cristiano hanno magari solo l'involucro o qualche affermazione di principio, non ci scandalizziamo che alcuni dei nostri capitani possano essere figure naturaliter cristiane come il professor Biagi e come lo stesso presidente della repubblica Ciampi. Prendere il largo significa anche non lasciare che l'invito del capo dello Stato alla moderazione e al pluralismo rimanga un grido nel deserto.