0 1 gennaio 2001

E Cicerone creò lo spot. Il ritorno della retorica indagato dall'italianista Ezio Raimondi. "Un'arte che ha forte affinità con la cultura dell'oralità, della tv e della pubblicità"/"La parola è connaturata alla politica E va rivalutata anche a scuola e sul pulpito"

"La retorica non è un'arte da museo: senza di essa non si potrebbero comprendere i linguaggi contemporanei del "villaggio globale" come la pubblicità, la televisione, la politica". Così l'italianista Ezio Raimondi sintetizza le ragioni del ritorno in auge della scienza tanto cara ad Aristotele. Di questo sorprendente, e per certi versi inatteso, processo di rivalutazione, proprio Raimondi è stato uno dei massimi protagonisti. Come conferma il volume La retorica d'oggi in uscita per i tipi del Mulino (pagine 118, euro 9,30). "La rinascita della retorica è collegata alla cultura dell'oralità alimentata dai grandi mezzi di comunicazione di massa. In questa prospettiva si inserisce l'interesse, anche della gente comune, verso una disciplina che ha straordinari punti di contatto con la spettacolarizzazione del quotidiano in cui siamo immersi". § Il filosofo siciliano Gorgia definisce la retorica come un grande signore a cui nessuno può resistere. Non le sembra l'identikit della pubblicità? § "La pubblicità parla attraverso slogan e gli slogan rientrano a pieno titolo nella logica retorica. Non solo: ciò che caratterizza la propaganda, e che la rende erede diretta della retorica, è l'obiettivo di conseguire il consenso del pubblico attraverso la simbiosi tra parola e immagine. Un connubio, quest'ultimo, ben conosciuto dai Greci, per i quali la parola doveva diventare un'evidenza, ma anche da Ignazio di Loyola: nei suoi esercizi spirituali l'ascolto puntava, attraverso una retorica dell'interiorizzazione, a far rivedere nel teatro della propria mente i momenti salienti della vita di Cristo. Due metodi fatti propri dalla pubblicità del nostro tempo dove l'immagine tende a "bombardare" l'individuo, suscitandone prima il desiderio e poi il consenso verso un prodotto di mercato". § Secondo il filosofo Meyer, come lei stesso ricorda nel volume, la retorica è in sostanza l'arte di dar prova di eloquenza davanti a un pubblico per guadagnarlo alla propria causa. Sembra l'aforisma ideale per molti politici di oggi, più presenti nei salotti televisivi che alle sedute in Parlamento... § "L'elemento politico è connaturato alla retorica. Non stupisce quindi che i nostri politici siano buoni frequentatori di questa disciplina: sanno usare i mezzi di comunicazione, sanno cos'è un esordio, conoscono le prove da introdurre e come bisogna concludere, sia pure con livelli diversi di abilità, eleganza, virtuosismo. Tra tanti esempi vorrei citare il senatore Nino Andreatta con la sua precisa consapevolezza delle ragioni retoriche, unita a un'attenzione rigorosa della modulazione del discorso, e a una straordinaria capacità di citazione". § La retorica, nel Novecento, è stata spesso compagna di viaggio dei regimi totalitari. La democrazia può farne a meno? § "Assolutamente no. La parola è parte essenziale della forma democratica e del suo tentativo di contrapporre la retorica del vero a quella del falso, tipica dei regimi totalitari. Come dimenticare il celebre discorso di Roosevelt ("non bisogna avere paura della paura"), o gli interventi di Churchill, o ancora la retorica secca e aspra di De Gasperi che si presentò a Parigi con le parole "noi siamo una nazione vinta": rinunciando all'iperbole a favore della denudazione del linguaggio riuscì ad essere immediatamente credibile". § Consiglierebbe ai parroci italiani di seguire qualche corso di tecnica oratoria per rendere più persuasive le omelie domenicali? § "Qualche tempo fa, in California, mi è capitato di ascoltare l'omelia di un sacerdote che metteva in primo piano se stesso per poi portare queste verità vissute anche ai più giovani: quindi l'omelia diventava conversazione, domanda e risposta, partecipazione del pubblico. Là c'è probabilmente anche una tradizione predicatoria che non rinuncia al gusto, all'ironia, alla letteratura. I nostri sacerdoti non hanno avuto nessun Chesterton italiano cui ispirarsi e forse la retorica non l'hanno studiata troppo nei seminari. Al di là della battuta oggi c'è stata una trasformazione: si sente il salto di cultura tra una generazione più anziana e una generazione più giovane, molto attenta al testo biblico, che accompagna un elemento didattico a una vera e propria perorazione". § Anticamente il docente cercava di persuadere i suoi discepoli della sua scienza e lo studente di persuadere il professore del suo grado di conoscenza. Oggi la realtà sembra diversa... § "La scuola attraverso la persuasione dovrebbe educare le persone a essere libere e responsabili, a diventare quindi in grado di gestire se stesse e di capire e capirsi nelle situazioni generali. Un vero docente insegna qualche cosa ma impara anche. Quindi non trasmette soltanto ma mette sulla strada. Un compito estremamente complesso in una società pluralistica. Discutere se si deve o meno insegnare il 900 è un falso problema. Il secolo scorso rappresenta indubbiamente la tradizione di cui vivono le generazioni che sono passate al nuovo millennio. Ma per capirlo dobbiamo risalire indietro, a fenomeni che sono cominciati prima. Il punto centrale allora è un altro: qual è la memoria minima di cui la scuola si deve fare in qualche modo garante. Concordo con lei: la nostra educazione linguistica lascia a desiderare. Si dice qualche cosa della letteratura ma la si pratica poco. E pensare che qualche anno fa, a un corso di disoccupati, proposi un caposaldo della retorica, l'orazione di Antonio tratta dal Giulio Cesare di Shakespeare".