0 1 settembre 2000

IL CASO Le condizioni per un inserimento di nuove culture che sia compatibile con l’identità del nostro Paese. Immigrati, emergenza da correggere Biffi: lo Stato ancora impreparato. E con l’islam la sfida dell’integrazione.

BOLOGNA. «I provvedimenti sull’immigrazione fin qui adottati sono eterogenei, contraddittori e privi di progettualità». Nell’ambito del seminario di studio promosso a Bologna da Fondazione Migrantes, Caritas italiana e Ufficio nazionale per i problemi sociali e per il lavoro della Cei, il cardinale Giacomo Biffi è nuovamente intervenuto su quello che ha definito «un fenomeno imponente e grave». Stato e società, ha esordito, devono imparare a superare l’emergenza attraverso l’elaborazione di progetti realistici che devono contemplare «tanto la possibilità di un lavoro regolarmente remunerato quanto la disponibilità di alloggi dignitosi non gratuiti». D’altra parte, ha aggiunto l’arcivescovo di Bologna «chi viene da noi deve sapere subito che gli sarà richiesto come necessaria contropartita dell’ospitalità il rispetto di tutte le norme di convivenza che sono in vigore da noi, comprese quelle fiscali. Diversamente non si farebbe che favorire l’insorgere di deplorevoli intolleranze razziali». Con quali criteri lo Stato dovrà attuare questi progetti? Prima di tutto tenendo conto del fatto che l’Italia ha bisogno di una forza lavoro non più reperibile in loco. A questo proposito, ha chiosato Buffi. «dovrebbero ormai essere tutti persuasi di quanto sia stata insipiente la linea perseguita negli ultimi quarant’anni, con l’ossessivo terrorismo culturale antidemografico e con l’assenza di ogni correttivo legislativo che ponesse qualche rimedio alla denatalità. Tutto questo nonostante l’esempio contrario delle nazione d’Europa più accorte, più lungimiranti, più civili, che non hanno esitato a prendere in questo campo provvedimenti realistici e intelligenti». Ma, ha ammonito Buffi, i criteri di cui si deve tenere conto non possono essere solo economici, devono tendere a salvaguardare la fisionomia propria della nazione, favorendo una coesistenza che non conduca a disperdere la nostra ricchezza ideale o a snaturare la nostra specifica identità. «Le autorità devono operare perché coloro che intendono stabilirsi in modo definitivo nel paese si inculturino nella sua realtà spirituale, morale e giuridica, privilegiando il criterio dell’inserimento più agevole e meno costoso (preferirei, a parità di condizioni, le popolazioni cattoliche e a seguire gli asiatici che hanno dimostrato di sapersi integrare con facilità)». Evocare a proposito di questo criterio laico gli spettri del razzismo o della discriminazione religiosa, ha annotato il porporato «sarebbe un malinteso davvero mirabile e singolare; il quale se effettivamente si verificasse ci insinuerebbe qualche dubbio sulla perspicacia degli opinionisti e dei politici italiani». Il cardinale si è poi soffermato sul caso dei musulmani che vengono in Italia «risoluti a restare estranei alla nostra “umanità” individuale sostanzialmente diversi in attesa di farci diventare tutti come loro». Di fronte a questo problema, ha commentato Biffi, gli stati occidentali dovrebbero richiedere una reciprocità non puramente verbale da parte degli stati di origine degli immigrati. «Per quanto possa apparire estraneo alla nostra mentalità, e persino paradossale, il solo modo di promuovere il principio di reciprocità da parte di uno Stato laico sarebbe quello di consentire in Italia per i musulmani, sul piano delle istituzioni da autorizzare, solo ciò che nei paesi musulmani è effettivamente consentito per gli altri». L’espandersi dell’immigrazione non ha tuttavia sorpreso solo lo Stato, ma anche la comunità ecclesiale che «ha puntato doverosamente a costruire una cultura dell’accoglienza senza accompagnarla tuttavia con una valutazione realistica dei problemi, ma soprattutto senza mettere in risalto la missione evangelizzatrice della Chiesa nei confronti di tutti gli uomini». Alle comunità cristiane Biffi ha ricordato che tale missione non può essere surrogata dall’attività assistenziale. Perciò, ha annotato, sulla questione dell’immigrazione globalmente intesa (evangelizzazione, identità cristiana del nostro popolo, concrete difficoltà pastorali) «non dovrebbero esserci deleghe a nessun particolare organismo ecclesiale né è ammissibile che essa sia affrontata in toto dalla Caritas italiana che ha il suo specifico nell’assistenza». Il cardinale ha chiuso il suo intervento con un fuori testo, quasi una confidenza. «Io» ha detto «non ho nessuna paura dell’Islam. Le mie paure per l’avvenire dell’Italia sono altre. Ho paura della straordinaria imprevidenza che dimostrano i responsabili della nostra vita pubblica. Ho paura della immaturità, dell’inconsistenza, dei condizionamenti ideologici di molti opinionisti, cioè di quelli che dai vari pulpiti ci insegnano quotidianamente che cosa dobbiamo pensare. Più ancora. ho paura dell’insipienza di troppi cattolici, soprattutto tra i più acculturati e loquaci». §