0 1 ottobre 2002
Hanno un forte senso religioso, in politica scelgono preferibilmente il centro e per quanto riguarda l’impegno associativo privilegiano la militanza nei gruppi di volontariato autonomi e solidali. È questo l’identikit di coloro che all’interno del privato sociale riescono, più facilmente di altri, a produrre una nuova cultura del civile pur essendo ancora un fenomeno minoritario (il 38,5% degli intervistati ha infatti una posizione favorevole all’intervento dello Stato e solo il 30% condivide l’idea di una sua funzione sussidiaria). È uno dati che emerge dal volume “La cultura civile in Italia: fra stato, mercato e privato sociale” (a cura di Pierpaolo Donati e Ivo Colozzi, Il Mulino) seconda tappa di una ricerca promossa dall’Istituto Veritatis Splendor di Bologna e presentata ieri nel corso di un seminario dove, forse per la prima volta, sociologi ed economisti hanno tentato di superare le barriere delle rispettive specializzazioni affrontando all’interno di un progetto interdisciplinare due argomenti fondamentali come la società civile e il nuovo modello di economia. Tema, quest’ultimo, al centro di un’altra ricerca promossa dall’Istituto bolognese (che sarà discussa oggi all’Oratorio di S. Filippo Neri) curata da Stefano Zamagni e Pier Luigi Sacco (“Complessità relazionale e comportamento economico: materiali per un nuovo paradigma di razionalità”, Il Mulino).§ Nella prima indagine, condotta nel settembre–ottobre del 2000 non mancano le sorprese. “Contrariamente a quanto si potrebbe immaginare” spiega Colozzi “i giovani non condividono la nuova cultura del civile più delle generazioni adulte e anziane a meno che la giovane età non si combini con un forte orientamento religioso. In maggioranza i giovani hanno poca fiducia nella società civile, snobbano i codici normativi del privato sociale e in qualche caso approdano a una cultura dell’individualismo”. Un dato che porta a riflettere sulla capacità del privato sociale di aggregare i giovani proponendo loro una posizione culturale diversa da quella imposta dal mercato e dal sistema politico. “Alla luce di questo” commenta Colozzi “il problema non è tanto quello di dare più spazio al privato sociale; è necessario invece mettere nuovamente a tema la domanda su cosa si debba considerare civile, cioè su quali siano i valori e i comportamenti individuali e di gruppo che debbono essere considerati buoni per l’intera comunità”. Il sociologo Pierpaolo Donati evidenzia un aspetto ulteriore. L’estrema problematicità del mondo associativo italiano, stretto fra la colonizzazione da parte dello Stato e la mercificazione da parte del mercato. “ Il privato sociale in Italia” afferma Donati “ mostra una buona dose di arretratezza quanto alla capacità di dotarsi competenze e mezzi organizzativi autonomi da quelli delle istituzioni pubblico statuali”. “Se mi guardo in giro” conferma Luisa Santolini del Forum delle associazioni familiari “vedo che si fatica a uscire dalle vecchie logiche. Anche se l’esperienza del Forum conferma che la strada del’autonomia è tracciata e non si torna indietro”. La Santolini concorda con la ricerca quando parla di interferenze da parte della politica. “Contro una certa invadenza delle istituzioni” annota “ le associazioni hanno solo un antidoto: essere presenti nei luoghi dove si fanno le leggi”.§ Nella seconda ricerca Zamagni “scommette” sull’introduzione del principio del dono nella teoria economica. “Il bisogno di relazionalità” ricorda il docente bolognese “può essere soddisfatto o dalla pratica del dono o dal contratto; nella prima l’incontro con l’altro determina sempre una modificazione dell’io che si ritrova più ricco; così non avviene nelle relazioni che scaturiscono dal contratto. Solo quella donativa è una forma di azione che rifiuta il modello mezzi–fini”. Due esperienze confermano che non siamo di fronte a un’opzione utopica. “Noi” racconta Bernardino Casadei della Fondazione Cariplo “riteniamo che ci possa essere un privato sociale autonomo che tuteli la dimensione religiosa di ogni uomo, la riscoperta del proprio tempo e delle proprie competenze anche se gli ostacoli non mancano. Basti pensare ai benefici fiscali che non vengono utilizzati, al paradosso per cui quasi nessuno chiede alla gente di donare”. Un’altra conferma alle intuizioni della ricerca di Zamagni e Sacco viene dall’Economia di comunione del movimento dei Focolari. “Agli imprenditori che si associano” spiega Alberto Ferrucci “noi diamo solo il privilegio di dare soldi ai poveri.. L’esperienza del dono avviene sotto il segno della reciprocità e ha talvolta la forma di una lettera nella quale il beneficiato non ringrazia il filantropo ma condivide con chi l’ha aiutato la sua esperienza dell’amor di Dio”. § §