0 1 dicembre 2001

Scuola e politica: a che serve quel telefono?

Il telefono amico, attivato dall’on. Fabio Garagnani per raccogliere denunce sulla politicizzazione dei docenti nelle scuole, è giusto o sbagliato, opportuno o inopportuno? La domanda è complessa ma merita ugualmente da parte nostra un tentativo di risposta. Indubbiamente l’iniziativa coglie un’esigenza reale: garantire la libertà di insegnamento evitando che essa degeneri in mera propaganda ideologica. § Che quest’ ultimo fenomeno negli ultimi decenni sia avvenuto con preoccupante frequenza è sotto gli occhi di tutti e non solo quelli del parlamentare di Forza Italia. E il quadro non accenna a migliorare. I figli (e i nipoti) del ’68 hanno di fatto monopolizzato le cattedre proponendo un’idea di scuola caratterizzata dal dubbio e dall’assenza di una vera passione educativa. I governi degli ultimi anni, in buona o cattiva fede, hanno fatto di tutto per smantellare il non facile equilibrio di percorsi scolastici e sbocchi professionali. Molti editori hanno cavalcato il politically correct producendo libri a una dimensione, naturalmente quella più vicina alla concezione marxiana per la quale il Medioevo è un periodo oscuro e la Resistenza un periodo fulgido, il Novecento è l’unico secolo da studiare, il sacro e religioso paccottiglia pubblicitaria al servizio delle gerarchie ecclesiastiche. § Né è migliorata la situazione da quando nelle scuole ha fatto il suo ingresso l’attualità: in classe si leggono i quotidiani ma se andiamo a vedere le testate sono quelle della solita compagnia di giro. Per le altre vige il silenzio–stampa. Anche i temi, naturalmente, sono allineati. In una scuola bolognese (rassicuriamo il lettore, l’informazione è nostra e non ce l’ha passata Garagnani), per esempio, è stato chiesto ai ragazzi di commentare il discutibilissimo messaggio diffuso all’indomani dell’attacco alle Torri Gemelle da un certo premio Nobel presentandolo come l’unico punto di vista veritiero sulla vicenda. § E gli studenti? Da qualche anno mettono in scena il tradizionale copione dell’autogestione e dell’occupazione. Qualche slogan contro (quest’anno la vittima designata è il ministro Moratti) per mascherare, in realtà, un periodo di vacanza supplementare: quasi nessun tentativo, da parte di molti di loro, di interrogarsi, anche criticamente sui contenuti della riforma. Come si vede i problemi della scuola sono più estesi delle critiche a Berlusconi e alla guerra che pure molti insegnanti esercitano incuranti di essere all’interno di un servizio pubblico e non di una scuola di partito come quella gloriosa del Pci alle Frattocchie. § Dunque Garagnani ha nel merito sostanzialmente ragione. Nonostante questo il suo telefono ha, per una serie di motivi, il fiato corto. In primo luogo non pone il vero problema che è quello della libertà di educazione intesa come libertà di scelta anche della cultura e delle convinzioni di un certo insegnante, della didattica di un certo istituto. In secondo luogo è tatticamente sbagliato: riuscire nel miracolo di portare in piazza una sinistra unita è un evento che neanche il miglior stratega dell’Ulivo avrebbe potuto immaginare. Fatto che in termini calcistici si chiama autogol. Speriamo che anche Garagnani, e lo diciamo senza ironia, non sia colpito dagli effetti della sindrome di Taormina: ovvero quando una verità detta nei modi e nel momento sbagliato non solo mette a rischio la verità ma fornisce i suoi stessi nemici delle armi per combatterla.